Bande musicali e cori polifonici del Vallo di Diano
In quasi tutti i paesi del Vallo di Diano vi è stato almeno un tentativo di costituire una banda musicale. L’attività più antica, a quanto si sa, è quella di Sala Consilina, che risale al 1865 circa, quando il Comune risulta garante per l’acquisto degli strumenti; la più duratura è quella di Sassano, che dagli anni Venti, tra alterne vicende, è pervenuta fino a oggi quasi ininterrotta.
I maestri fondatori e direttori sono stati per lo più degli appassionati dotati di una certa pratica e, anche quando avessero conseguito il diploma di solfeggio al conservatorio, non godevano di autonomia professionale, ma dovevano svolgere un altro lavoro per vivere, come nel caso del maestro Gagliardi, tagliatore di scarpe, che aveva una calzoleria nella piazza di Sala e, senza abbandonare tale attività, negli anni Venti diresse la banda del suo paese e quella di Sassano. Via via che migliorava il livello tecnico della banda, specie quando essa si esibiva negli altri paesi, si ricorreva a elementi forestieri e talvolta a solisti più o meno rinomati. Quando invece la banda stessa non aveva la forza di sopportare gli oneri derivanti dalle esigenze di una qualità più elevata, finiva presto per sciogliersi; i più bravi magari formavano un concertino e suonavano nelle feste di matrimonio. È quello che avviene, ad esempio, nel piccolo paese di San Rufo, dove pare non si sia mai riusciti a fare un concerto in piazza dopo le lezioni impartite dal maestro Sarno di Polla.
Mette conto sottolineare, a questo punto, il rapporto tra il maestro e gli allievi. Occorreva innanzitutto l’acquisto degli strumenti; non si è riusciti a sapere molto sull’argomento: talvolta è il Comune che si fa garante, talvolta una sorta di mecenate, come un macellaio benestante di Padula non bene identificato; talvolta ancora - hanno riferito a Sala - viene firmato un contratto quinquennale dai genitori dei giovani allievi, che si impegnano a indennizzare l’eventuale rottura o scomparsa dello strumento.
Nel primo periodo di preparazione musicale il maestro veniva retribuito: a Casalbuono è risultato che gli venivano fornite piccole derrate alimentari o fasci di legna; successivamente un tanto al mese. Va rilevato, però, che, una volta superate le difficoltà dell’apprendistato, lo status di un «musicante» rappresentava non soltanto un mezzo per elevarsi culturalmente (insieme all’istruzione scolastica) nella società, ma anche una fonte aggiuntiva di reddito in una economia precaria caratterizzata da migrazioni stagionali di lavoro come quella per la mietitura in Puglia. La musica di tipo operistico era considerata certamente un modo meno rozzo della musica folcloristica fatta di zampogne, ciaramelle, pifferi e sunettu.
L’immagine del musicante che emerge dalla tradizione orale è quella tra l’artista e il girovago che nel vagabondaggio si affina nel mestiere di arrangiarsi, ricorrendo alla furbizia e alla beffa; se ne trova eco nel detto popolare, che nella versione sassanese suona così:
Fuìt(i), gend(e), ch’arrìvan(e) i zingar(i).
Fuìt(i), zingar(i), ch’arrivan(e) i musicand(i).
Le bande paesane del Vallo di Diano hanno avuto quasi sempre vita breve, attingendo livelli tecnici più o meno dilettantistici (c’è chi ricorda la presenza di «soffiatori» per fare numero); fa eccezione quella di Sassano, che, sotto la direzione del maestro Capri, di Salerno, registrò negli anni Venti un momento di rinomanza ultraregionale, competendo coi migliori complessi bandistici delle Puglie.
Uno dei motivi che concorsero allo scioglimento delle bande fu quello dell’emigrazione; qualcuno tra i più appassionati riuscì a continuare l’attività musicale all’estero: con certezza si sa che in Venezuela Vincenzo Rizzo, della banda di Padula, fece parte della banda municipale di Caracas e Pasquale Fortunato, che aveva fatto parte della banda di Sala negli anni Venti e che fondò quella di Atena, ha diretto per anni il Concerto Infantil di Ciudad Bolivar.
Anche se meno conosciuta, merita di essere segnalata l’attività musicale dei cori polifonici o delle scholae cantorum, che si sono cimentati con autori classici di tutto rispetto. Una tradizione di questo tipo si riscontra in alcuni paesi fin dai primi decenni del Novecento, ma negli anni Settanta si assiste ad una particolare fioritura d’interessi: si distinguono per la partecipazione ad alcune rassegne il coro polifonico «Amici della musica», di Sant'Arsenio, diretto prima da don Angelo Spinillo, atualmente vescovo della diocesi di Teggiano-Policastro, poi dall’arch. Enrico Coiro, quello «Vox animae» di Buonabitacolo, diretto dal Maestro Melchiorre Ferrara e le antiche e nuove scholae cantorum di Teggiano. (Giuseppe Colitti)