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I personaggi di Padula 


Giuseppe ALLIEGRO
. Avvocato, poeta, scrittore. Padula 14 gennaio 1916; Napoli 26 ottobre 1987. Laureatosi in giurisprudenza all’Università di Roma, dopo la guerra combattuta tra il 1940 e il ’44 nella Venezia Giulia e nei Balcani, si stabilì per breve tempo a Salerno, ove diresse il primo settimanale politico-satirico (Il Don Chisciotte da Salerno), e poi definitivamente a Napoli ricoprendo l’incarico di amministratore dell’Ospedale Pellegrini. Autore floridissimo, ricordiamo le raccolte poetiche Giovinezza canora del 1936 e  Aria del mio paese del 1959,  varie monografie e saggi come I figli del Vesuvio del 1966 e I figli di Partenope del 1973 e, soprattutto, il bel romanzo psicologico Uno dei tanti: storia di un fascista napoletano del 1983. Da non dimenticare inoltre che a lui va il grande merito di aver realizzato la prima guida storico-artistica della Certosa, La reggia del silenzio, edita nel 1934 e più volte ristampata. (G. A. Colangelo, Giuseppe Alliegro (1916-1987), in Rassegna Storica Salernitana, n. 45, giugno 2006).

Vincenzo  BREGLIA. Artigiano e scultore. Padula, 11 settembre 1880; ivi 28 settembre 1954. Tra gli ultimi mastri padulesi, aveva imparato i rudimenti dell’arte della lavorazione del legno presso i Cariello e aveva bottega di falegname al Tempone. Abilissimo intagliatore, ha realizzato per la Chiesa di S. Francesco d’Assisi il pulpito e i tre confessionali incassati in nicchie ricavate nella parete e, per la Chiesa Madre, il coro del presbiterio. (P. Gallo - C. Paolini, Il convento di S. Francesco di Assisi in Padula, Ed. Presenza, 1983).

Giovanni CAMERA. Avvocato e uomo politico. Nacque a Padula il 21 settembre1862 da Luigi, pasticciere, e da Adelaide Nappi, di agiata famiglia. Laureatosi nel 1886 a Napoli in giurisprudenza, tramite il suo professore di Filosofia del Diritto, Giovanni Bovio, si avvicinò alla Massoneria, aderendovi il 23 marzo 1887. Tornato a Padula, vi esercitò l’avvocatura, dedicandosi al contempo con passione alla vita politica in un rapido “cursus honorum”: consigliere provinciale dal 1889, presidente della provincia nel biennio 1905-6, onorevole deputato al Parlamento del Regno d’Italia per ben 7 legislature dal 1895 al ’97 e dal 1900 al 1923. Di fatto dominò la politica del Vallo di Diano per oltre 30 anni. Nel 1904 fu Sottosegretario alle Finanze nel governo Giolitti, rivolgendo il suo impegno principalmente a favore della scolarizzazione della sua gente (gli si deve l’istituzione del Liceo Ginnasio di Sala Consilina nel 1908) e del miglioramento delle loro condizioni di vita (come la costruzione del tratto ferroviario Sicignano-Lagonegro, che voleva anche elettrificato), ma fu promotore anche di tante battaglie di più ampio respiro nazionale, come quella per estendere il suffragio anche alle donne o per una più equa applicazione delle leggi sull’emigrazione (al fine di rendere più decorose le condizioni di vita dei tanti immigrati italiani all’estero). In tale attività rimase comunque sempre legato alla Massoneria, tramite la loggia padulese dei “Forti Lucani” fondata dal generale Bracco nel 1887 e quella salese di “Porta Pia” da lui istituita nel 1891: nei principi massonici infatti vedeva – proprio negli anni in cui ferveva la “questione sociale” – uno strumento di lotta comune contro tirannidi, soprusi e pregiudizi di ogni sorta. Tuttavia va precisato che, per quanto Padula gli avesse dato i natali, egli mantenne sempre un rapporto privilegiato con Sala, in quanto capoluogo di distretto e sede di sottoprefettura, ma anche perché a Padula ebbe non pochi avversari (in primis don Arcangelo Rotunno), congiuntamente al fatto che fin dal 1908 andò progressivamente spegnendosi l’attività della loggia dei Forti Lucani. La notizia poi di un suo matrimonio con una sorella del noto avvocato massone salese Giuseppe Apicella, napoletano di nascita, è priva di fondamento, essendo unicamente attestato il matrimonio del 1883 con la padulese Vincenza De Vita, ancora in vita quando il Camera morì. L’errore è nato probabilmente dal fatto che una sorella della De Vita, Giuseppa, aveva sposato lo stesso giorno (25 luglio 1883) nella Chiesa di S. Michele Arcangelo di Padula, proprio Giuseppe Apicella. Ad ogni modo, a Padula il Camera concesse un privilegio non da poco: con la Legge  n. 635  del  22  giugno  1911 fu lui ad elevare l’Arco antistante la Chiesa della SS. Annunziata a Monumento Nazionale, dal momento che inquadrava il Sacrario dei Trecento di Carlo Pisacane. Politicamente, fu certamente incline a un trasformismo di tipo clientelare, il che non deve affatto sorprendere, in quanto perfettamente in linea con l’esempio giolittiano di gestione amministrativa. Gravitò comunque sempre su posizioni sostanzialmente democratiche, ma concluse poi la sua carriera da socialista. L’ultima vittoria la ebbe nelle elezioni del 1921, nel 1924 però venne pesantemente sconfitto dalla lista di coalizione demo-liberale ov’era confluito il suo più tenace avversario Amendola. Ritiratosi a vita privata, morì a Roma nel 1929 in Via Farini n. 52. A Padula gli venne intitolata la via principale di accesso al paese (ribattezzata via Italo Balbo durante il Fascismo), a Sala la sua visibilità nella toponomastica è stata maggiore e più duratura. (Giovanni Camera, un politico massone per il progresso del popolo, Euresis – Annuario del Liceo Classico “M. T. Cicerone” di Sala Consilina, 1985, pagg. 99-122).

CARIELLO.  Importante famiglia di artisti, abili scultori del legno ed esperti cesellatori di metalli e pietre, attivi a Padula e in tutto il Regno di Napoli tra la fine del ‘700 e gli inizi del ‘900. Maestro e fondatore di bottega fu Nicola, tornitore; il figlio Andrea, nato il 1 dicembre 1807, ha lasciato cospicue e significative testimonianze della sua maestria nella capitale Napoli, a Caserta, Altamura, Ferrandina, Teggiano e, ovviamente, a Padula (mirabili, tra le altre, le statue lignee di S. Francesco di Paola e dell’arcangelo Raffaele nella chiesa madre); Francesco Saverio, fratello ed emulo di Andrea, nato il 25 agosto 1816 e autore delle statue pure lignee di S. Alfonso, S. Lucia e S. Luigi Gonzaga nella medesima chiesa; Vincenzo, nato il 5 aprile 1847, cui si ascrive la bella scultura lignea del protettore S. Michele, completata e poi restaurata dal figlio Paolo dopo l’incendio del 1897 e tuttora custodita nella chiesa matrice di Padula. (Testimonianza diretta dei familiari – Archivio storico della Chiesa di S. Michele Arcangelo).

Reginalda CARIELLO, brigantessa. Contadina analfabeta, meglio nota come Reginella, nacque a Padula il 27 febbraio 1840 da famiglia di umili origini. Singolare figura femminile, vissuta ai margini della società del tempo e frequentatrice  precocissima del mondo della malavita locale. La sua vicenda personale è intrecciata con quella di noti briganti assai attivi a Padula: in primis Pietro Trezza, che la rapì e fece sua amante, conducendola tra i boschi e avviandola così al brigantaggio; Michele De Vita, un mulattiere affiliato alla banda del temutissimo Angelantonio Masini; e il Masini stesso, famoso brigante di Marsico Nuovo, che la tenne con sé come vivandiera. Amava farsi ritrarre armata di tutto punto o vestita con abiti maschili ed è certo che prese parte a numerosi crimini (estorsioni, furti, incendi), rendendosi altresì complice di omicidi e sequestri. Oltre a lei, altre due donne operavano nella banda Masini: Filomena Cianciarulo e, soprattutto, Maria Rosa Marinelli, la donna del capobrigante, nota tra l’altro per essere menzionata in una suggestiva filastrocca in dialetto padulese, che ricostruisce l’episodio dell’arresto e della morte del Masini nella casa di Gerardo Ferrara a Padula. Costituitasi spontaneamente alla Sottoprefettura di Sala Consilina il 27 dicembre dello stesso anno, Reginella venne poi scagionata il 6 maggio 1865 dal tribunale di Potenza, perchè i reati a lei ascritti erano stati commessi “in regime di costrizione e non per libera volontà”. Al di là di ogni giudizio di valore, la sua storia è emblematica di quel mondo di miseria e di disperazione, che anche nelle nostre terre negli anni post-unitari ha visto nel brigantaggio l’unico strumento rimasto a tanta povera gente per affrancarsi da decenni di prevaricazioni e sfruttamento. (R. Amicarella, Combattenti per l’Indipendenza italiana della Provincia di Salerno (Campagne dal 1848 al 1870), ed. Ellebi, s.d.).

Andrea CARRARA. Maestro scalpellino, scultore, stuccatore. Nato a Padula il 5 novembre 1688 da Tommaso e Lucrezia Volpe; morto a Brienza il 28 agosto 1757. Abilissimo capomastro della grande comunità di scalpellini padulesi del ‘700, ha lasciato notevoli testimonianze della sua perizia soprattutto nella Certosa di S. Lorenzo (in part. Facciata, tra 1717 e 1723, con le statue dell’ordine inferiore e l’edicola traforata della Madonna; Chiostro Grande: Cimitero Nuovo, 1729, e Metope figurate della trabeazione, 1734-6; Portale e altare del Capitolo dei Padri; Epitaffio di S. Bruno alla Vascella, 1749), ma anche nel Centro storico di Padula (Acquasantiera in S. Michele Arc.; statua di S. Michele del 1729 e busto di Madonna con Bambino al Monte Romito; statua di S. Vito sul portale dell’omonima cappella; pavimento del Chiostro del Convento di S. Agostino, 1748), nella Chiesa di S. Stefano a Sala C. (in part. balaustra d’altare, 1720-30), in quella dell’Assunta a Sanza (ciclo dei santi Pietro, Paolo e Giuseppe con Bambino, del 1720) ed anche fuori del Vallo (si ricordi il portale della chiesa di S. Zaccaria a Brienza, del 1750). Ancor oggi le sue opere destano l’ammirazione e lo stupore di turisti ed esperti. (M. Sanseviero, L’opera degli scalpellini di Padula nelle dinamiche artistiche del Vallo di Diano, Tesi di laurea, 2006).

Vincenzo FERRARA FERRIGNO. Nato a Padula nel 1857 da Antonio Ferrara e da Maria Luisa Ferrigno e morto in Messico, a Monterrey, nel 1936. A 12 anni seguì la famiglia che emigrava in Messico, ove lavorò fin da giovanissimo nei settori del commercio e dei minerali. A 27 anni sposò Aurelia Verduzco Salinas, che gli diede ben 11 figli, dedicandosi con impegno sempre maggiore al processo di industrializzazione e modernizzazione della città di Monterrey. Fondatore del Banco de Nuevo León e del Banco Mercantil  de Monterrey, ha legato il suo nome soprattutto alla creazione della la prima e più grande fonderia dell’America Latina, la Fundición no. 3, oggi trasformata in un grande parco ove tuttora è visibile un monumentale altoforno, nonché della Compañia Fundidora de Fierro y Acero de Monterrey. Amico stretto del presidente messicano Porfirio Diaz, favorì grazie al suo appoggio la diffusione dei Salesiani in Messico. (Notizie tratte dal sito www.italmex.vze.com –  sez. Italianos en Mèxico).

Giulio Cesare LAGALLA. Filosofo e medico. Nacque a Padula nel 1571 da Roberto, celebre giureconsulto di Filippo II di Spagna. A Napoli studiò Lettere, Filosofia e Medicina, divenendo a soli 19 anni medico della flotta pontificia. Al seguito del cardinale Giulio Antonio Santoro, nel 1591 si recò a Roma, ove il papa gli conferì prestigiosi incarichi fino alla Cattedra in Filosofia. Durante tale periodo entrò in contatto epistolare con Galileo Galilei, polemizzando con lui per le sue idee rivoluzionarie e mostrandosi più vicino alla posizione tradizionale aristotelico-tolemaica, seppur con delle novità: infatti riteneva il mondo creato da Dio e retto da precise leggi matematiche, cui l’uomo può accedere tramite la scienza. Un filosofo della scienza, dunque, più che un vero e proprio scienziato. Tra le molte opere a lui attribuite, pubblicate dal discepolo Leone Allacci (1588-1669), citiamo quelle più significative: De Phoenomenis in orbe luna, novi telescopii usu a D. Galileo nunc iterum suscitatis phisica disputatio a D. Iulio Caesare La Galla (1612), a difesa della dottrina geocentrica contro il copernicano Sidereus Nuncius galileiano del 1610; Tractatus de Cometis (1613), per l’apparizione a Roma di una cometa; De immortalitate animorum ex Aristotelis sententia (1621), contro l’Aristotelismo materialistico del Pomponazzi; Disputatio de coelo animato (1622). Trascorse gli ultimi anni tra le sofferenze di una penosa malattia e il desiderio di una cattedra a Pisa, mai ottenuta a causa dei dissapori con i Gesuiti. Morì a Roma il 14 febbraio 1624. (I. Gallo, Filosofia e scienze biologiche agli albori del ‘600. Giulio Cesare La Galla tra Aristotele e Galilei, Rassegna n. 1, III 2, 1986).

Filomeno PADULAPatriota e uomo politico. Nato a Padula il 10 novembre 1836 ed ivi morto il 30 dicembre 1912. Fratello minore di don Vincenzo, ne raccolse l’ultimo respiro, condividendone quegli ideali mazziniani e quell’anelito alla democrazia, che lo indussero a dedicare una vita alla lotta contro il crimine e all’azione politica. Dalla primavera del 1862 guidò col grado di capitano - accanto a Vincenzo Santelmo - la Guardia Nazionale di Padula, neo-organismo dell’Italia post-unitaria avente funzione di difesa armata del territorio su base comunale. Negli anni di tale incarico, numerosi e significativi furono i risultati da lui ottenuti nella lotta contro i briganti, che - riuniti in bande operanti soprattutto in Basilicata – a Padula imperversavano sulle montagne e ricevevano sostegno in paese, rendendo così malsicure le strade e infidi i rapporti. Il successo maggiore fu sicuramente l’azione condotta contro il notissimo capobanda Angelantonio Masini (sul quale pendeva una taglia di ben 20.000 lire), attirato in trappola in casa di un suo compare e arrestato la notte del 20 dicembre 1864. In seguito, Filomeno si segnalò per il suo impegno politico, fondando nel 1877 la prima Società Operaia di Mutuo Soccorso di Padula e venendo eletto nel 1879 Consigliere Provinciale (carica ricoperta fino al 1884, quando gli subentrò l’avv. Giuseppe Mezzacapo). Grazie poi all’incarico di Capo dell’Ufficio Postale di Padula, poté godere negli ultimi anni di una maggiore agiatezza economica, che si concretizzò nell’acquisto di alcuni ex beni della Certosa (come i resti dell’abbazia benedettina di S. Nicola al Torone) e del palazzo sito in piazza S. Clemente, ove morì e che tuttora è in possesso dei suoi discendenti. (E. Padula, Vincenzo e Filomeno Padula. Due fratelli nel Risorgimento italiano. Rubbettino 2006).

Vincenzo PADULA. Sacerdote e patriota. Nato il 16 ottobre 1831 a Padula, nella casa sita nella Strada Santo (oggi via Vincenzo Padula), da umile famiglia originaria di Montemurro (PZ). Dopo gli studi al Seminario di Teggiano, fu nominato Procuratore della chiesa matrice di S. Michele Arcangelo. Fin dal 1848, anno in cui la sua famiglia prese parte ai moti insurrezionali, fu lui il principale protagonista della cospirazione antiborbonica a Padula, coltivando rapporti con i comitati di altri paesi, lucani e campani. Altissima era la considerazione che ne aveva C. Pisacane, che lo considerava degno della massima fiducia al pari di nessun altro, ma crescente era pure il clima di sospetto intorno a lui. Sulla via di Napoli, a Salerno, fu arrestato insieme ad altri “attendibili” (come l’altro sacerdote patriota, don Giuseppe Cardillo) proprio alla vigilia della spedizione dei Trecento, il che condizionò non poco l’esito delle successive vicende. Rilasciato, si unì ai Mille di Garibaldi combattendo da valoroso a Calatafimi, Palermo e Milazzo. Ferito a una gamba durante quest’ultima battaglia, fu promosso Maggiore per meriti sul campo. Morì il 29 Agosto 1860 e venne seppellito nel cimitero della Chiesa dei Cappuccini di Barcellona Pozzo di Gotto (ME). (E. Padula, Vincenzo e Filomeno Padula. Due fratelli nel Risorgimento italiano, Rubbettino 2006).

Giuseppe (Joe) PETROSINO. Poliziotto e detective. Nacque in Padula il 30 agosto 1860 da famiglia di modeste origini (il padre Prospero era sarto e la madre Maria Giuseppa Arato casalinga) nella casa oggi museo, sita nella via omonima. Nel 1873 seguì la famiglia che emigrava a New York ed ottenne la cittadinanza americana a 17 anni. Sin da giovanissimo svolse i lavori più umili (lustrascarpe, giornalaio, spazzino), segnalandosi al contempo quale prezioso “informatore” della Polizia per il quartiere italiano. A soli 23 anni, nel 1883, il 19 ottobre (oggi celebrato in USA come Petrosino day), primo italo-americano della storia, entrò nella Polizia di New York con la matricola 285. Da questo momento la sua vita fu un crescendo di popolarità, successi e primati: coriaceo e incorruttibile, sergente detective membro del Bureau investigativo della città dal 1895, capo di una squadra di poliziotti italo-americana (Italian Legion) dal 1905, specialista in travestimenti singolari e memorabili, amico e consigliere personale del presidente Theodore Roosvelt, pronto nell’intuire e prevedere i movimenti dei malavitosi (dagli anarchici ai boss della Mano Nera, associazione criminosa da lui individuata e perseguita fin nelle sue connessioni d’oltreoceano), capo del servizio segreto dal 1908. Nel 1909 il luogotenente Petrosino tornò in Italia in incognito, deciso ad estirpare la mafia alle sue radici, in Sicilia. Accolto personalmente da Giolitti, rivide anche il paese natio e il fratello Michele il 27 febbraio, ma il crimine era informato di ogni suo piano e, già sulle sue tracce, lo attese al suo arrivo a Palermo. Qui, la sera del 12 marzo 1909, in piazza Marina, 4 colpi di pistola sparati alla schiena da due sconosciuti vollero fermare il suo cammino. Seguirono ben due funerali (uno in Italia, l’altro in USA) e un lungo processo conclusosi senza nessun colpevole. A cento anni dalla morte, il suo esempio è più vivo che mai in quanti continuano – oggi come ieri – a combattere il crimine e a credere nella legalità. (M. Di Martino, Joe Petrosino. Detective 285,  Ed. Flaccovio, 2005 – www.joepetrosino.org).

Vincenzo PINTO. Custode della Certosa. Nacque a Padula il 28 agosto 1908 da Pasquale, contadino, ed Eufemia M. Federico, casalinga. Dal 1929 al 1973, senza soluzione di continuità, è stato l’unico Custode - materiale e morale - della Certosa di S. Lorenzo, di cui ebbe ufficiale consegna nel 1934 direttamente dal padre (investito di tale incarico ai primi del ‘900). Semplice e riservato, ma animato da un amore autentico e da una profonda conoscenza del monumento, ne ha segnato direttamente le sorti negli anni più difficili e oscuri della sua tutela. Figura ancor oggi da rivalutare. Silenziosamente come visse, si è spento il 25 marzo 1987 in Piedimonte Matese (CE) presso il figlio Pasquale. (Testimonianza diretta dei familiari).

Rivoluzionari del 1799. Nutrita e diversificata (da segnalare i molti sacerdoti) fu la partecipazione dei Padulesi ai moti insurrezionali del 1799, in linea col precoce diffondersi di sentimenti liberali nel Vallo di Diano. Molti di essi beneficiarono dell’indulto del 30 maggio 1800. Ne ricordiamo solo alcuni: Feliciano DAMIANI, giureconsulto a Napoli, motore trainante della rivoluzione a Padula tramite i fratelli Onofrio, Municipe del popolo, e Vincenzo, sacerdote, fuggì poi in Francia ed Inghilterra; Ettore NETTI, eletto Commissario Repubblicano, fu attivo sia a Padula (coi familiari Francesco, arciprete e Presidente della Municipalità, e il di lui nipote Nicola, con Giuseppe BUONOMO, Municipe, il sacerdote Angelo FINAMORE ed altri, cacciò i monaci dalla Certosa ed eresse l’albero della libertà nella Corte esterna) sia a Sanza (insieme al concittadino avvocato Francesco NOTAROBERTO combatté per la democrazia), ove finì ucciso il 18 febbraio 1799, a soli 24 anni, presso il Convento di S. Francesco ove s’era rifugiato; infine, con un arco di vita maggiore, Raffaele CAVOLI, sindaco di Padula dal 1799 al 1810, iscritto alla Carboneria, artefice dell’insurrezione del 7 luglio 1820, incarcerato, condannato a morte e poi graziato, concluse i suoi giorni da “italiano libero” nel 1862. (L. Cassese, Scritti di Storia Meridionale,  Pietro Laveglia Ed., 1970).

Federico ROMANO. Patriota.  Nato a Padula da nobile famiglia di sentimenti liberali, fu tra i principali ispiratori ed organizzatori dell’infelice Spedizione di Sapri. Corrispondente fidato di Carlo Pisacane, lo accolse con i rivoltosi nel suo palazzo (ancor oggi svettante al Largo 1° Luglio) quand’essi giunsero in paese, la sera del 30 giugno 1857. Per tale proditorio gesto e per la sua condotta apertamente antiborbonica, la sua casa fu poi saccheggiata e bruciata dai borbonici all’indomani del 2 luglio, mentre lui con la famiglia si dava alla macchia sui monti. A lungo ricercato anche dalla polizia dei comuni limitrofi, si consegnò volontariamente ai nemici il 25 gennaio 1859, ormai stanco e malato, chiedendo di morire nel suo letto. Piantonato dai gendarmi, spirò qualche giorno dopo. (Testimonianza diretta dei familiari).

Arcangelo ROTUNNO. Sacerdote, educatore, archeologo, scrittore. A Padula, nella casa sita nell’allora via Annunziata (oggi a lui intitolata), nacque il 31 gennaio 1852 e morì il 22 ottobre 1938. L’infanzia fu pregna di patriottismo: il padre Giuseppe, agricoltore, era stato guardia urbana fino al 1857, quando ne fu espulso perché cognato dell’“attendibile” Antonio Santoro; la madre aveva legami parentali col noto sindaco carbonaro Raffaele Cavoli. Per giunta, il giovane Arcangelo ebbe modo di vedere coi suoi occhi sia Pisacane, mentre saliva verso la casa dei Romano il 30 giugno 1857, sia Garibaldi nella sosta al bivio del 5 settembre 1860. Ordinato sacerdote nel 1876, l’anno dopo istituì una scuola privata, di cui fu direttore, insegnante ed educatore fino al 1880, fermamente convinto che il magistero è una missione. In seguito e ininterrottamente fino al 1923, insegnò nelle scuole elementari comunali, dedicandosi altresì alle ripetizioni gratuite dei figli degli operai più indigenti e chiudendo la sua carriera da direttore didattico. La sua attività di educatore trascendeva però la cattedra o il pulpito: ispettore onorario delle belle arti dal 1907, archeologo autodidatta e ricercatore instancabile per tutta la vita, a lui si deve l’individuazione del sito archeologico di Cosilinum sul colle detto “Civita” ai primi del ‘900, sulla scorta dei suoi studi e comprovata dal rinvenimento di numerosi resti architettonici e soprattutto epigrafi “in situ”, oggi visibili presso il Museo Archeologico della Lucania Occidentale in Certosa. Anche il recupero del cenobio laurenziano fu un altro suo pensiero continuo, mediante perorazioni, istanze, sensibilizzazioni, proposte di utilizzo. Nell’arco della sua lunga esistenza ha scritto molto, prediligendo la saggistica, in collaborazione con varie riviste (specie L’Istitutore di Torino), ma si è cimentato anche in generi diversi (come la commedia Calendimaggio). Ha lasciando tuttora inediti non pochi scritti di carattere didattico-pedagogico e preziosi appunti su ricognizioni archeologiche. (I. Gallo, Arcangelo Rotunno e Padula, Laveglia Ed. 1978).

Antonio SANTELMO. Patriota. Nacque a Padula il 25 dicembre 1815 da Michele, Tenente della Legione Provinciale del Circondariale di Padula, e da donna Rosa Marrano. La sua famiglia si era già segnalata nel 1799 per essersi schierata dalla parte dei rivoluzionari ed il padre aveva partecipato ai moti del 1820-21. Indicato coi fratelli Vincenzo (n. 1813), Giovanni e Francesco (n. 1820) - rispettivamente Capitano della Guardia Nazionale, Sindaco e Consigliere Provinciale dopo l’Unità - quale cospiratore e nemico del governo borbonico, fu arrestato e incarcerato con loro. Tornati a Padula, tutti  e tre i Santelmo mantennero un atteggiamento più cauto, continuando però ad intessere rapporti con altri patrioti (primo don Vincenzo Padula), in preparazione di future imprese. Nel luglio del ‘52 la polizia borbonica trovò libri “proibiti” nella loro casa, condannandoli così ad un’ammenda di 200 ducati. Nel corso della fatidica spedizione dei Trecento, Antonio fu certo uno dei motori della cospirazione padulese, come ebbe modo di dichiarare l’arciprete Santomauro, eppure vennero diffuse voci discordi: si parlò di una sua fuga per i monti, mentre i verbali della magistratura borbonica annotavano del suo ritrovamento da parte dei gendarmi in una cantina, ove l’avevano nascosto due donne del paese. Arrestato ed esiliato, nel 1860 era tra i Mille di Garibaldi: ferito ad un ginocchio il 15 maggio a Calatafimi, fu insignito di medaglia d’argento e promosso luogotenente. Costretto ad abbandonare il campo di battaglia, venne ingiustamente apostrofato come traditore da Giovanni Nicotera (già presente nel ‘57 a Padula al fianco di Pisacane e sopravvissuto all’eccidio), che lo riteneva responsabile del fallimento di una spedizione - come quella di Sapri - in realtà affrettata, male armata e piena d’imprevisti. In seguito Santelmo organizzò l’insurrezione del Cilento e del Vallo di Diano, per preparare la vittoriosa risalita di Garibaldi verso Napoli, continuando - anche dopo l’unità nazionale - a vivere a Padula. Qui contrasse matrimonio nel 1880 con Maria Grazia Arato, morendo appena l’anno dopo, il 5 giugno. (M. E. Sormani, Antonio Santelmo nel Risorgimento salernitano, in Garibaldi e garibaldini in provincia di Salerno, Convegno di Studio, Plectica ed. 2005 - Testimonianza diretta della nipote Livia Santelmo).

Saverio TROTTA. Scalpellino e scrittore. Nato a Padula, autore dell’obelisco di S. Cono a Teggiano, voluto dalla popolazione come segno di ringraziamento per lo scampato pericolo dopo il terremoto del 1857. Fu autore del romanzo in tre volumi Elvira, stampato a Napoli nel 1888. (E. Giudice, Gli uomini illustri, Ed. Zaccara 2001).

Francesco (Frank) Antonio VALENTE. Scienziato, fisico, matematico. Nato a Padula il 22 gennaio 1898, emigrò con la famiglia a New York nel 1902. Iscrittosi alla High School di Paterson, completò gli studi di Chimica nel 1922 e di Fisica nel ’24. Fino al 1939, anno in cui ottenne il dottorato in Fisica Nucleare, concentrò tutte le sue attenzioni alla ricerca dell’atomo. La sua fu una carriera brillante: le migliori università americane se lo contesero come professore e ricercatore. Era diventato un uomo di scienza di prestigio nazionale. Insegnò al Rensselaer Polytechnic Institute e ad esso, come ultima volontà, volle lasciare gran parte delle sue sostanze, poiché lì aveva speso le sue migliori energie consumate in anni di assiduo studio sull’energia nucleare. Infatti, alla sua morte, aveva decretato per testamento che quanto egli lasciava dovesse essere impegnato nell’aiutare uomini di ingegno capaci di far progredire gli studi sulla Fisica e sul Nucleare. Ancora oggi, gli studenti meritevoli del Liceo Scientifico di Padula possono usufruire di una borsa di studio, completando così i propri studi in America. Negli ultimi anni della sua vita Frank Valente insegnò alla Seattle University, né conobbe mai pensione. Quando morì, il 27 gennaio 1984, era ancora intento a completare ricerche ed esperimenti. (A. Manzione, La scienza a Padula con Frank Valente, Tip. Iezza, s.d.). 

                                                                    Vincenzo Maria Pinto